mercoledì 16 aprile 2014

INTERVISTA A ROBERTO DEL FRATE

di Costanza Blaskovic


Roberto del Frate
Ho avuto il piacere di intervistare il pittore veneziano Roberto del Frate che nei giorni scorsi ha inaugurato la sua ultima mostra dal titolo Ritratti di persone. Ritratti dell’umanità. negli spazi dell’ITIS Asp di via Pascoli 31 a Trieste. 
L’artista mi accoglie nella sua casa triestina dove si è trasferito da qualche anno, un luogo che racchiude e trasmette il suo amore per l’arte e la sua continua ricerca del bello che, mi racconta, per lui è sempre stata una priorità.

Le tele della mostra Ritratti di persone. Ritratti dell’umanità. ora esposte all’ITIS sono una selezione di opere che sintetizzano il nuovo filone di ricerca che stai affrontando, ovvero la riflessione sulla terza età. Come definiresti quest'ultima esperienza? 
“Questa è stata una buona occasione per vari motivi; intanto, l’ambiente doveva essere in qualche modo rallegrato e, poi, mi interessava l’idea di portare l’arte vicino a persone che non possono muoversi  facilmente. Inoltre, la mostra mi ha dato l’opportunità di lavorare su una tematica nuova per me ma che mi sta molto a cuore, l’età della maturità. La serie presentata è intitolata LIVE - VIVI che è un imperativo: vivi! non essere e basta.
Verde/Green (2014), acrilico e olio su tela, 60x60 
Una di queste tele ritrae un anziano con una grande farfalla colorata tatuata sul petto che sorride a fianco alla scritta ‘ROCK’N ROLL’: con quest’opera volevo creare un’immagine che esprimesse la mia convinzione che la vita debba essere vissuta degnamente a ogni età e che, anche durante la vecchiaia, si debba reagire con entusiasmo agli eventi. La vita non finisce finché tu ci sei, fisicamente ma anche mentalmente. 
In più, volevo evidenziare il confronto tra tele allegre in cui, come nel caso dell’opera Rock’n Roll, si nota chiaramente lo slancio vitale dei personaggi ritratti, e altre tele in cui si percepisce, invece, la non-reazione all’invecchiamento. Quest’ultime, infatti, sono tele più malinconiche e introspettive.
In questa riflessione, a ispirarmi è stato il tema sociale della vecchiaia che risulta, però, intrecciato al tema estetico. Infatti, anche i soggetti non allegri, le espressioni rassegnate o i sorrisi non più giovani diventano belli per il loro significato”. 

Il 5 aprile, inoltre, alla personale di Roberto del Frate presso l'ITIS di Trieste (visitabile fino al 22 maggio) è stata aggiunta un'appendice di diciasette opere, complementari alla prima esposizione ma inedite, visitabile fino al 24 aprile 2014 presso il centralissimo  Hotel Duchi Vis à Vis in piazza dello Squero Vecchio, 1 a Trieste. 
Questa seconda esposizione è intitolata Ritratti di persone. Ritratti dell’umanità. Episodio 2. poiché risulta essere la naturale continuazione alle riflessioni che animano la prima esposizione.
Invito alla mostra al Hotel Duchi Vis a Vis Trieste



Prima dipingevi quasi esclusivamente paesaggi, quando è avvenuto il passaggio al ritratto e perché? Mi vuoi parlare anche di come sia cambiato il tuo modo di lavorare?
“Io ho fatto tantissimo paesaggio. Già a quattordici anni lavoravo dipingendo nell’atelier di mio padre a Venezia. Sono sempre stato circondato da colori, pennelli e commercianti d’arte e mio padre mi ha cresciuto con il gusto paesaggistico veneziano di fine ottocento - inizio novecento. 
Il soggetto esclusivo che si immortalava in quell’atelier era Venezia, città che ha di bello e di brutto la sua immagine iconica (la laguna e i cieli, i mercatini nelle calli, i palazzi settecenteschi,…). Era questo quello che i collezionisti ricercavano e volevano comprare: vedute di Venezia di piccole dimensioni.
E' così che sono stato introdotto all’arte ma, a un certo punto, questa realtà, per quanto raffinata e vivace, mi è diventata stretta. Viaggiando, in Francia soprattutto, mi sono accorto che l’arte non era solo commercio di opere ma poteva essere ben altro. Sono stato cresciuto con l’idea che si dovessero creare opere gradite al mercato e, dunque, quando mi accorsi che ciò non mi bastava più, ebbi molti screzi con mio padre.
All’inizio dipingevo moltissimi paesaggi a olio di stile impressionistico e questo implicava il lavoro en plein air e l’uso della vernice e dell’acqua ragia. Mi esprimevo con pennellate larghe, veloci e sovrapposte che, soprattutto nelle tele di grandi dimensioni, tendevano a sfaldare le superfici ma senza mai cadere nell’astratto o perdermi in tecnicismi quali il divisionismo o il puntinismo, mantenendo, dunque, coerenza nell’ambito del figurativo. 
Angelo (2013), acrilico e olio su tela, 120x120
Così, la mia pittura a un certo punto, verso i trent’anni, divenne totalmente diversa da quella di mio padre, tanto che i clienti dell’atelier rimanevano intimoriti dalle mie opere. Anche se i miei quadri, per via delle dimensioni (preferivo il grande formato) e per lo stile più impulsivo, erano più difficili da vendere ed esportare, riuscivo comunque ad avere un giro di clienti che, ovviamente, non potevano essere gli stessi di un tempo”.
“Il passaggio tra il paesaggio e il ritratto non avvenne in un momento preciso. Negli anni, iniziai a conferire sempre più importanza alle figure che abitavano i paesaggi che dipingevo e passai gradualmente al ritratto che, d’altro canto, considero esso stesso come un paesaggio, un paesaggio dell’anima. Mi sono accorto via via sempre più della bellezza della figura umana, del fascino del suo sguardo che fa trasparire il pensiero. Mi sono avvicinato alla ritrattistica circa quindici anni fa ma è da una decina d’anni che ho approfondito il discorso in maniera quasi esclusiva.
Anche nella mia produzione di ritratti è visibile un percorso: i primi sembrano creazioni del primo Novecento, piuttosto fedeli al dato reale e figurativi al cento per cento. Poi, ho cominciato a giocare con le immagini: mi piace sovrapporre la figura umana, spesso in bianco e nero, a sfondi astratti e colorati creando forti contrasti e instaurando, al contempo, una dialettica tra il figurativo e l’astratto”.

Infatti, i tuoi ritratti sono immersi in ambienti che dialogano di continuo con i tuoi soggetti, con giochi di geometrie, riflessi, accostamenti di tessuti e materiali diversi che, spesso, nelle fantasie e nei contrasti cromatici ricordano opere del periodo secessionista. Sono echi volutamente ricercati? Quanto conta l’ispirazione ad altre epoche nella tua poetica? 
Return Animal IX (2014), tecnica mista su tela, 80x80
Io credo che quando uno dipinga non pensi a niente. Di solito, non inizio un’opera pensando di ispirarmi a qualcosa o a qualcuno in particolare. Ogni tanto avviene e basta. L’arte si crea così. Certo è che, se alle spalle di un ritratto che punta alla verosimiglianza del dato reale si decide di porre uno sfondo liscio, morbido, una tinta unita verde, per esempio, si sa che ci si andrà ad accostare maggiormente al filone della ritrattistica ottocentesca; se, invece, alle spalle della figura ritratta si pone lo sfondo di una stanza arredata e resa in maniera schietta l’effetto sarà diverso e ci ricorderà certa ritrattistica della prima metà del Novecento. Ancora diverso sarà l’effetto risultante dall’accostamento con uno sfondo coloratissimo che, come prima sensazione, ci riporterà ai dipinti della pop art o alla street art. Ecco, questa è una decisione che si può prendere inizialmente, ma non è detto che poi si riesca a creare davvero quello che si voleva, perché l’opera cambia e cresce nel frattempo: tuttavia, un quadro non è mai finito finché non lo decide l’artista stesso”.

Ritrai quasi sempre persone e animali a te molto vicini. Spesso questi personaggi, pur nella naturalezza dei loro gesti, hanno un che di stravagante dato dalla posa, dall’abbigliamento o dall’espressione. Come nascono, nel concreto, i tuoi ritratti? 
Io ho bisogno di una grande intimità con il soggetto che ritraggo, perciò gran parte delle volte immortalo persone che amo. Tuttavia, a richiesta, faccio anche ritratti su commissione. Ultimamente, mi è capitato spesso di partire da figure che creo con la fantasia o che ho visto e fotografato per strada: evidentemente, questi soggetti mi hanno attratto e mi interessano per qualche insondabile ragione. 
Mi sono accorto che, talvolta, i personaggi che ho ritratto sono proiezioni di me o delle persone che amo fra molti anni. In occasione della mia ultima esposizione all’Itis, ho fatto una scoperta interessante: ho fotografato un visitatore perché era estremamente somigliante a uno dei personaggi che avevo inventato per la serie LIVE - VIVI; successivamente, e solo riguardando la fotografia, ho notato che quel signore assomigliava a mio padre. Io, a mia volta, assomiglio a mio padre e il volto che avevo dipinto risulta essere una proiezione di me negli anni futuri, ma questo l’ho capito chiaramente soltanto adesso, riflettendo su questa complessa catena di rimandi.
Le Voyageur (2013), acrilico e olio su tela, 100x100
Nelle sperimentazioni più recenti, sto spostando il ritratto da un qualcosa di molto intimo a qualche cosa di intellettualmente interessante, come è accaduto, per esempio, con la serie LIVE - VIVI. Lo stesso è successo nella genesi di Return Animal: da moltissimo sono vegano e animalista e questa serie parte, appunto, da un tema che mi sta molto a cuore, ovvero il necessario ritorno alla natura e all’animalità da parte dell’uomo.
Ma, parlando in termini più ampi, le opere che dipingo hanno uno stretto rapporto con me, mi riguardano nel profondo. Inoltre, sono convinto che sia lo stesso anche per coloro che guardano e comprano le opere, i quali, prima o poi, ritroveranno sempre qualcosa e qualcuno che li riguarda dentro le tele.
In generale, i ritratti, gli scatti fotografici e gli schizzi nascono sempre da un gioco. Roberta è la mia musa ispiratrice e mi piace ritrarla per l’impertinenza dei suoi gesti, perché la bellezza del soggetto risiede nella sua personalità”.

Si aggiunge alla nostra conversazione anche Roberta de Jorio, sua moglie, che mi spiega: “Tutto nasce da una sinergia tra me e Roberto, dalla visione beffarda che abbiamo della vita”. 
Autoritratto XII (2014), acrilico e olio su tela, 100x100
Nello studio dell’artista ci sono moltissime opere appese alle pareti, fissate sui cavalletti o appoggiate per terra; tra di esse vi è un quadro che ritrae una figura in bianco e nero di profilo (riconoscibile come Roberta) che indossa una parrucca nera e si staglia su uno sfondo astratto. é uno di quei quadri che la coppia non vuole vendere perché per loro esprime perfettamente il momento di grande energia che si crea nell’aria e tra di loro mentre Roberto del Frate dipinge. 
“I momenti di gioco non nascono con l’idea di creare un’opera d’arte ma nascono da una reazione, generalmente una reazione ai momenti bui dell’esistenza, che noi amiamo combattere con l’ironia e con la creatività. Il quadro che ne deriva è la nostra reazione alla morte” - conclude Roberta.

Cos’hanno di diverso gli autoritratti?
“Gli autoritratti hanno di bello il fatto che in essi posso fare quello che voglio. Quando ritrai qualcun altro sei legato all’immagine reale del soggetto da immortalare, il quale giudicherà il modo in cui tu l’hai reso: dunque, non puoi essere così libero come quando ti rapporti con l’autoritratto”. 

Le tue opere appaiono come delle istantanee che fermano gli attimi del presente. Guardandole, ci troviamo immersi nella contemporaneità e lo capiamo dai soggetti ritratti e dalle tecniche utilizzate ma, allo stesso tempo, percepiamo che la narrazione del presente avviene con un occhio distante. Come definiresti il rapporto con la contemporaneità nelle tue creazioni?
En Noir (2013), acrilico e olio su tela, 120x120
“Ogni volta che si crea un’immagine, con una fotografia, con un disegno o con un dipinto, la si astrae dal tempo. Nei miei dipinti mi interessa bloccare uno stato d’animo, non altro. Ma, analizzando il processo creativo, è quasi sempre il mio stato d’animo a essere fissato sulla tela e, per questo, ogni tanto penso che ogni ritratto sia un po’ un autoritratto. 
Per me, la contemporaneità e il tempo non esistono se non nell’emozione. L’opera d’arte è capace  di trasmettere l’emozione dell’istante in eterno: altrimenti non si spiegherebbe perché un’opera del passato ci possa emozionare così tanto. Inoltre, trovo interessante il fatto che il quadro, a differenza della fotografia, ferma il momento ma al contempo può anche prendersi la libertà di modificarlo”. 

Sembra che tu sia sempre alla ricerca di bellezza, è vero?
“La ricerca del bello è la mia vita. Grazie ai miei genitori, sono sempre stato immerso nel bello e la ricerca dello stile ha sempre fatto parte di ciò che mi ha circondato, in campo artistico, nel campo della moda, dell’arredamento, della cura di sè. A mio modo di vedere, la ricerca del bello per un uomo ha come traguardo ultimo la donna, la sua bellezza e, nel mio caso, la bellezza è Roberta”. 

Roberto del Frate e la tecnologia: mi vuoi parlare dei disegni digitali e delle opere seriali? 
“La tecnologia fa parte della nostra vita, é inutile fare finta che essa non esista. Sarebbe pura pazzia combatterla. Il problema sorge quando la tecnologia non è più un mezzo (come io considero che sia), ma diventa essa stessa la forma. Sono tutti capaci di modificare una foto a proprio piacimento o di fare tantissime copie di un’opera per poi riprodurle e, con il passare del tempo, sarà sempre più facile per tutti arrivare a risultati interessanti con l’aiuto delle tecnologie. Ma è proprio per questo che l’originale varrà sempre di più. 
Quando un artista crea un’opera e poi la vende, in qualche modo la perde (nonostante la proprietà intellettuale rimanga sempre dell’artista) perché non può continuare a lavorare su di essa. Invece oggi, grazie alla facilità con cui si possono riprodurre i disegni o le tele, l’artista ha la possibilità di continuare a sperimentare sull’ispirazione iniziale.
Per questo motivo il discorso della serialità mi interessa particolarmente: nell’ultimo periodo comincio con un disegno, a mano o sulla tavola grafica digitale, e poi creo diverse soluzioni della stessa opera con tecniche, cromie ed effetti differenti. Lavoro spesso su serie tematiche perché trovo che ciò mi aiuti nella sperimentazione e che alimenti la mia creatività, anche quando vendo il prototipo originale”.

Non metti quasi mai dei titoli ai tuoi quadri. C’è un motivo? “Effettivamente non lo faccio praticamente mai. È strano, ma mi farebbe un po’ ridere inventarmi dei titoli. Mettendo un titolo alle opere mi sembrerebbe di sminuirne il valore o di intrappolarle in una definizione”. 

La velocità con cui riesci a creare e portare a termine le tue opere denota un’urgenza creativa sempre viva. é sempre stato così? 
Ritratto di ragazzo, disegno a penna digitale
su tavoletta grafica (2013)
“Sì, ho sempre dipinto molto e molto in fretta. Sono stato abituato così sin dai tempi in cui lavoravo nell’atelier di mio padre che aveva bisogno di ritmi serrati per accontentare il mercato. Tuttavia, nonostante la velocità con cui creo, sono sempre molto attento alla finitura delle opere e, per carattere, non le lascio mai incompiute.
Ho prodotto una notevole quantità di quadri anche perché io lavoro sempre e in ogni momento. E quando uno lavora così tanto percorre tanti chilometri: è anche per questo che nella mia pittura si sono susseguite varie fasi, più si crea e più si scoprono desideri e ispirazioni nuove.
Infatti, nonostante abbia la passione di comporre musica e di scrivere (ha pubblicato tre romanzi), negli ultimi anni mi sono limitato al dipingere e basta. E non è poco. La pittura richiede molto forzo psichico e sono convinto che sia meglio concentrarsi totalmente solo su una cosa per volta se la si vuole fare nel modo adeguato.
En Vert (2013), acrilico e olio su faesite, 100x100
Il prezzo dell’opera d’arte comprende non solo l’idea originale, la tela, la sua realizzazione ma anche e soprattutto la vita dell’autore. Acquistare un quadro o una scultura non vuol dire appropriarsi di un oggetto d’arredamento e basta, quell’oggetto è frutto di molto lavoro, tempo, fatica, sonno, sacrifici. L’arte è, di certo, un valore. 
Qui a Trieste quando si inaugurano delle mostre la risposta del pubblico è quasi sempre molto buona ma la gente vede le opere d’arte come oggetti da museo e non come valori che è interessante poter acquistare. Le persone qui non sono abituate a spendere per l’arte e questo fattore non è legato solo al momento storico ed economico in cui ci troviamo, perché in tante altre città d’Italia e del mondo la risposta è diversa e si può notare uno slancio molto maggiore verso il commercio di opere d’arte.
Una domanda che spesso mi pongo è: ‘come avvicinare le persone a comprare, a voler possedere l’oggetto d’arte?’ 
Non so dare una risposta definitiva a questa domanda ma penso che forse sia tutto legato alla grande carenza di cultura che si sta diffondendo nella società odierna. Non capisco come le persone non abbiano il desiderio di essere circondati da oggetti che ritengono belli e come possano, invece, preferire spendere il loro danaro in auto o televisori. Come si può vivere senza cultura, senza il bello, senza la poesia? 
Sono convinto che l’arte non sia per tutti dato che, per la sua comprensione, molte volte è necessario fare qualche sforzo. Però, a mio modo di vedere, l’artista non dovrà mai adattarsi a chi non capisce o arrendersi al crescente ottundimento della società, ma è il pubblico che deve provare a capire e a lasciarsi emozionare”.

(CB)



Roberto del Frate nel suo studio. A destra, l'opera Rock'n Roll della serie LIVE - VIVI



Esposizioni

ITIS Asp
Via G. Pascoli 31, 34129 Trieste
dal 22 marzo al 22 maggio 2014
Roberto del Frate – Ritratti di persone. Ritratti dell’umanità.


Hotel Duchi Vis à Vis
Piazza dello Squero Vecchio 1, 34121 Trieste
dal 5 aprile al 24 aprile 2014
9 - 17 orario continuato (esclusi sabato, domenica e festivi)
Roberto del Frate - Ritratti di persone. Ritratti dell'umanità. Episodio 2.

A cura di Peter Iancovich per Openupartgallery informazioni +39 392 975 6467


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